REFF 2025 – I NUOVI FLÂNEUR

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“Chi cammina a lungo per le strade senza meta viene colto da un’ebbrezza. A ogni passo l’andatura acquista una forza crescente; la seduzione dei negozi, dei bistrot, delle donne sorridenti diminuisce sempre più e sempre più irresistibile si fa, invece, il magnetismo del prossimo angolo della strada, di un lontano mucchio di foglie, del nome di una strada”.

Questa è la flânerie per Walter Benjamin. È noto come dalla metà dell’Ottocento il sentimento romantico per il paesaggio si dissolva, sormontato da un nuovo sentimento romantico, quello per il paesaggio urbano, vale a dire per la metropoli. Così il flâneur, figura nascente del vagabondaggio bohémien, dalle righe di Edgar Allan Poe a quelle di Charles Baudelaire, trasforma la città in paesaggio e il suo vagare in una passeggiata dentro una stanza. Il traffico, i rumori, lo choc dei flash presto non lo interessano più come interessano un qualsiasi cittadino. Lui è in grado di leggere i fenomeni della modernità e di muoversi nello spazio trascendendo gli stimoli e le richieste. Il flâneur è un grande osservatore (Poe: “alla fine non prestai più veruna attenzione a quanto si passava nel caffè, e rimasi completamente assorto nel contemplare la scena del di fuori”), amante del flusso e del riflusso, delle folle liquide: “la moltitudine è la sua sfera, come l’aria è quella dell’uccello, l’acqua quella del pesce. La sua passione e la sua professione è fondersi con la folla” (Baudelaire). Nel film Flâneurs (Ivano Lollo, 2023), proiettato alla quinta edizione del Ribalta Experimental Film Festival, la flânerie dei due personaggi – un ragazzo e una ragazza – non sembra affatto combaciare con la descrizione che ci hanno dato gli autori sopra citati.

Per cominciare, le domande che potremmo porci sono: esiste ancora la flânerie e, se sì, chi sono i nuovi flâneur? Forse queste sono anche alcune delle domande da cui è partito lo stesso Ivano Lollo (Incerto Verifico), per il suo film in 16mm. Nel cortometraggio, di circa quattro minuti, due personaggi si muovono per le strade di una città. Lollo utilizza la tecnica della pixilation per animare i due giovani lungo l’asfalto. Palazzine, gallerie, scalinate, ciminiere, ferrovie, tralicci, aerei… questo è il paesaggio di cui si circondano. Ma la particolarità del loro movimento si basa su un paradosso: i due personaggi si muovono come delle pedine, e cioè avanzano mediante il montaggio pur apparendo fermi in ogni frame. Un po’ come in SKMP2 (1968) di Luca Patella o in Tetsuo (1989) di Shinya Tsukamoto, i personaggi non danno quella sensazione di movimento animato (come in Neighbours, 1952,di Norman McLaren, per intenderci), ma piuttosto di trascinamento; risultano sostanzialmente passivi, robotici. Ed è forse questa la più grande differenza tra questi due flâneur e quelli descritti da Poe-Baudelaire-Benjamin. In più, andrebbe considerato altresì il ruolo della città, e cioè cosa significa muoversi nella città oggi e cos’è cambiato, di realmente strutturale, dalla metà del XIX secolo. Ma a questo forse è più complesso rispondere.

Indubbiamente, il cosiddetto progresso non ha fatto che esasperare alcuni elementi principali della metropoli. Perciò, si potrebbe anche soltanto dire che la flânerie moderna altro non è che un’esperienza progredita, dunque “esasperata” rispetto a quella ottocentesca. Eppure, non basta. Di mezzo ci sono stati, com’è noto, i situazionisti, i quali negli anni Cinquanta del secolo scorso sperimentavano un nuovo modo di vivere la città, una “technique du déplacement sans but”, tecnica di spostamento senza scopo. Il gruppo chiamò questa pratica dérive. La deriva situazionista tentava così di ridefinire lo spazio urbano attraverso l’esaltazione del comportamento ludico-costruttivo basato su emozioni soggettive. In questo modo gli “attori” ridefinivano spazi nuovi, mai visti, per ognuno diverso, a seconda della psiche degli individui. Il montaggio cinematografico, a prescindere dalla volontà del suo autore, applica questa ridefinizione dello spazio, tramite una frammentazione per quadri, cioè scomponendo un unico reale spazio in ventiquattro spazi ogni secondo. Tanto più in Flâneurs, dove il montaggio è così instabile, non-lineare, da favorire la perdita o, meglio, la deriva dello spettatore.

Ma la flânerie nel film di Lollo si distanzia dalle altre del passato nella passività dei suoi attori. Oggigiorno, l’aumento degli stimoli e degli choc, l’accelerazione costante di ogni elemento all’interno della città, insomma l’esasperazione della metropoli, riduce gli individui ad uno stato di passività per sovrastimolazione. Al contempo, i nuovi flâneur diventano automi in movimento, trafitti oramai da insensibilità e cinismo. Il nuovo flâneur deve combattere contro un ritmo e una velocità ancor più fulminei: i personaggi di Lollo, nella loro im-mobilità, sono dinamici e scattanti (e il montaggio incalza perfettamente questo loro pseudo movimento): a dire il vero, come dicevo, essi sono propriamente trascinati da una forza invincibile. Il nuovo flâneur non è più persona appassionata dei fenomeni della città, anima infantile e affascinata, poiché ogni fenomeno è uguale a un altro, non vi è più il nuovo (e mi riferisco anche al nuovo come epifania o riscoperta dell’antico, o del quotidiano): anzi, forse la ricerca del nuovo, dell’originale, si potrebbe dire che non lo interessi più, che non sia più una sua caratteristica indispensabile. Perciò in un certo senso lo choc è stato del tutto assorbito dal nuovo flâneur.

Inoltre, altro fatto rilevante, nel film di Lollo vediamo i due flâneur ma non vediamo la folla, che un tempo era la loro “sfera”. Ne deriva che, secondo la sua idea, il nuovo flâneur non è più l’uomo della folla, e io mi trovo d’accordo con questa visione: la flânerie moderna di fatto non appartiene alla folla, perché è stata rigurgitata dalla società di massa, e proprio per questo se n’è voluta separare. Pertanto, da questa lotta con la folla, il nuovo flâneur ne esce indebolito, vulnerabile, svuotato, e le radiografie inserite da Lollo evidenziano questo stato di trasparenza e vacuità. Tutt’altro che l’antica ebbrezza di cui parlava Baudelaire, oramai soltanto un lontano ricordo: nei volti dei due flâneur di Lollo vive solamente l’espressione dell’imperturbabilità, la cinepresa gli gira a tutto tondo come fossero dei marmi romani o, anche meglio, delle statue smarrite. Neanche nei loro incontri interagiscono l’uno con l’altra: si comportano come due tram sui rispettivi binari.

“La strada conduce il flâneur attraverso un tempo scomparso. Per lui ogni strada è scoscesa, lo conduce in basso, se non proprio alle Madri, tuttavia in un passato, che può tanto più ammaliare in quanto non è il passato suo proprio, privato” (Benjamin). Qui, tra le immagini di Flâneurs, non vi è più passato ma neanche futuro, rimane solamente un presente stanco e bigio. È come se Lollo in qualche modo annunciasse la definitiva scomparsa di una sorta di avanzo riciclato di ciò che un tempo era il romanticismo della città, con un bianco e nero saturo e drammatico – oltre che dai tratti postindustriali, come quello di Tetsuo. Eppure, questi nuovi flâneur si spostano da un luogo all’altro (si veda la scena in cui la ragazza, passando per un ponte, si gira verso la ferrovia sottostante e in quell’istante la camera si sposta dentro il treno). Del flâneur ottocentesco resiste perciò ancora il desiderio dell’ubiquità, cioè dell’esser presenti in ogni luogo nel medesimo tempo. Ma che quest’ubiquità non sia in realtà, per i nuovi flâneur, desiderio di non essere in ogni luogo? Ebbrezza dell’assenza. Desiderio, in definitiva, di non essere.

Bibliografia

Baudelaire Charles, Le peintre de la vie moderne (1863), tr. G. Guglielmi, E. Raimondi, Il pittore della vita moderna, Milano, Abscondita, 2018.

Benjamin Walter, Das Passagenwerk (1982), tr. AA. VV., Opere complete. I “passages” di Parigi, Torino, Einaudi, 2000.

Brun Éric (a cura di), Les situationnistes: une avant-garde totale. 1950-1972, Parigi, CNRS Éditions, 2014.

Edgar Allan Poe, The Man of the Crowd (1840), tr. B. E. Maineri, L’uomo della folla, in E. A. Poe, Storie incredibili, Milano, Tipografia Pirola, 1869.