MONDI LONTANI SHORT FILM FESTIVAL PARTE I: GEOGRAFIE DI DIVERSE FORME CINEMATOGRAFICHE  

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Inoltrarsi in tutto quello che è sconosciuto è la sfida che il Mondi Lontani Short Film Festival si propone di fare. Quest’anno la rassegna cinematografica cambia casa; siamo stati a Napoli, il 28 e 29 novembre, al cinema Modernissimo, nell’intimità della sala Videodrome, spazio per l’arte e l’avanguardia, solitamente dedicato alla proiezione di lavori in digitale, a cortometraggi e a tutto quello che ruota intorno al Cinema. Quale luogo migliore, allora, per accogliere otto cortometraggi d’autore accomunati dal “solo” fatto di essere stati realizzati con un impegno costante nella ricerca artistica? Arrivato alla quinta edizione, il Festival rafforza la sua missione, adattandosi facilmente alla sua nuova casa, che è lo «strumento di analisi per l’anima», riprendendo l’analisi del filosofo Gaston Bachelard ne La poétique de l’espace. I nuovi spazi si adattano ai mondi diversi trovando una connessione nuova ma familiare; il Cinema viene vissuto in tutte le sue differenti forme, in ogni modo – e mondo – possibili. «L’unica cosa che vorrei poter insegnare è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo», ha scritto Italo Calvino. In mezzo al mondo, o a mondi diversi. Lontani. Attraverso le diverse immagini si sviluppa (rifacendosi, ancora, a Bachelard) una vera e propria estetica del nascosto, attraverso la quale proiettare ciò che si trova dietro l’immagine stessa.


Importante novità del Festival è la mostra fotografica Isole di Mario Spada a cura di Roberta Fuorvia. Il progetto espositivo suggerisce un concetto tanto ovvio quanto importante: l’isola è un lembo di terra interamente circondato dal mare. È così che siamo stati abituati a definirla sin da bambini. La Sicilia, la Sardegna, le Eolie. Ma uno scoglio, un faraglione – pur essendo in mezzo al mare – non sono isole. Sono pezzi di mondi circondati dalle acque. Allora, forse, non si tratta di un qualcosa di tangibile, ma di un concetto fluttuante, risultato finale e complesso di una negoziazione costante. Ma anche mezzo per esplorare la propria identità, il proprio rapporto con il mondo, con i mondi e – ancora – con i diversi modi di abitare. Roberta Fuorvia è una curatrice specializzata in fotografia contemporanea, è docente di editing fotografico al CFI – Centro di Fotografia Indipendente di Napoli, è co-fondatrice dell’associazione THE DOCKS. E c’è tanto altro ancora. Curriculum ricchissimo anche quello di Mario Spada, fotografo freelance e stampatore per l’Archivio storico Parisio, fotografo di scena per il film Capri Revolution di Mario Martone (torna sul set, poi, anche con con Qui rido io nel 2020, e Nostalgia nel 2021) e a teatro con Il sindaco del Rione Sanità e Tango Glaciale reloaded. La mostra Isole racconta le immagini sul set di Capri-revolution, soffermandosi anche sull’aspetto introspettivo dell’isolitudine, di chi – forse – è alla ricerca di una terraferma nuova, utopica, inesistente.


Il Mondi Lontani Short Film Festival promuove il cinema internazionale in ogni modo possibile, avvalendosi di una giuria composta da Marco Crispano, produttore e distributore; Elio Di Pace, regista, Alessandro Vitale, musicista; Andrea Gatopoulos, regista, produttore e distributore; Saaed Jafarian, regista e critico cinematografico; Costanze Schmitt, direttrice della fotografia.

Iniziamo il nostro percorso con i quattro film proiettati nella prima serata, che si prefiggono di andare al di là del colore e della forma definiti e di sottrarsi all’evidenza della prossimità visiva. Hanno nomi, voci, volti diversi. E un alfabeto proprio.

  1. Yellow, di Elham Ehsas (UK/AFG – 13’) 

Una donna entra in un negozio di chadari per acquistare il suo primo velo integrale. Li osserva, li tocca, poi sente una musica – bruscamente interrotta – venire dal retro del negozio. Chiede il prezzo, è incerta sulla taglia, li osserva ancora. «Blu», ripete mentre lo prova, divertendosi perché ha difficoltà ad indossarlo. Poi si fa fotografare, così da potersi vedere. Infine danza.

Il regista pluripremiato Elham Ehsas, nato a Kabul, combatte e ribalta gli stereotipi nel modo più efficace possibile: raccontandoli. Di questa parte del mondo vengono diffuse e si conoscono storie di violenza e terrorismo (nel corto le vediamo anche trasmesse in tv), e sono queste a definire non una parte ma tutto questo mondo. In dodici minuti si (intra)vedono sogni sospesi, oscurati violentemente da veli tanto pesanti da impedire di riconoscersi al di sotto di essi. Serve una foto, una presenza concreta, una prova di esserci. Indossare il chadari è solo il punto di partenza di tutto quello che sarà. Il futuro si (intra)vede solo dallo sguardo della protagonista del corto, come se potessimo intravederne i sogni. «Conosco molte persone che nemmeno si disturbano più a uscire, perché inciampano in continuazione, non riescono a vedere nulla. E non ne vale la pena», ha raccontato l’attrice iraniana Afsaneh Dehrouyeh in un’intervista. Il corto, entrato in shortlist ai BAFTA e agli Oscar 2024, ci porta in un mondo lontano descritto da chi ci è cresciuto, da chi lo conosce bene. Chi assiste lotta insieme a Laili, pronuncia la parola «blu» con lei, come se ci si potesse ascoltare. E lotta insieme a tutte le altre ragazze e donne nella sua stessa situazione. Si lotta anche danzando.

  1. Sakhisona, di Prantik Basu (IN – 25’) 

Siamo in India, nei pressi di Mogulmari, nel Bengala Occidentale. La musica (ci) accompagna nell’esplorazione di questo nuovo mondo. «Il mio lavoro trae ispirazione dagli spazi», spiega il regista nell’intervista presente nel catalogo del Mondi Lontani Short Film Festival. I resti di un monastero e alcuni oggetti risalenti al VI secolo raccontano, riportandoci immediatamente a La dialettica del fuori e del dentro (e del grande e del piccolo) descritta da Gaston Bachelard. Non possiamo non rifarci alla sua opera parlando del piacere dell’abitare. L’essere – per Bachelard – è entre-ouvert, cioè semiaperto, socchiuso. Come sono semiaperti gli scavi, i ricordi, i miti che il corto descrive. Ogni frammento è un pezzo fondamentale e di per sé non sufficiente per raccontare un mondo; tutti insieme, anche se rotti, irregolari, imperfetti, ri-portano alla luce storie. La narrazione non lineare si adatta agli oggetti, come se seguisse la loro forma, le loro discontinuità.

  1. Suleyman, di Mehdi & Yanis Hamnane (FR – 26’) 

Siamo in un mondo ostile, uno di quelli in cui fa comodo avere un amico. Suleyman è un migrante senegalese in attesa di legalizzazione a Parigi; incontra Ibrahim, un giovane di sedici anni in libertà vigilata. Tra i due nasce un legame inaspettato.

I registi Yanis e Mehdi Hamnane raccontano due identità che si intrecciano e si aiutano a vicenda. Raccontano l’odio e la rabbia attraverso gli sguardi persi e rassegnati e affrontano l’immigrazione e il determinismo sociale. Quasi immediato il rimando a L’odio di Mathieu Kassovitz per il legame che si crea tra tre «invisibili» (c’è una lotta tra privilegiati e invisibili) condannati all’indifferenza, sconfitti dall’immutabilità della propria condizione e armati di un odio sempre più intenso. Fin qui tutto male, potremmo pensare, rifacendoci proprio al film appena citato. Eppure nel mondo di Suleyman c’è una forte umanità. C’è un incontro tra due diverse sofferenze che trovano la forza di annullarsi incontrandosi, come due numeri di segno negativo ne creano uno positivo. Entrare in questo mondo, abitarlo, significa anche mettere da parte la rabbia per restare focalizzati sull’obiettivo. In questo mondo incontriamo una nuova speranza.

  1. The sunset special 2, di Nicolas Gebbe (DE – 19’) 

Eccoci arrivati all’ultima proiezione della prima serata, una sorpresa fuori concorso. Siamo diventati voyeurs di un mondo che conosciamo bene, quello fatto di immagini e narrazioni che distorcono la realtà. L’extra lusso, l’eccesso, l’ostentazione. L’artista e filmmaker Nicolas Gebbe mette in scena una vita da sogno: una crociera, il partner giusto, i tramonti da fotografare, le interazioni sui social. È tutto perfetto. Chi potrebbe desiderare di più di tutta questa abbondanza? Vogliamo tutto, un all you can eat che non riguarda (più) solo il cibo.

Gli spettatori immersi in questo mondo inquietante sono chiamati a osservare, spiare, giudicare. Siamo sicuri di poterlo fare, essendo così profondamente immersi all’interno di una società liquida e impegnati a celebrarci in infinite ricette narcisiste? Avere tutto può sembrare un’occasione imperdibile per essere felici, dandosi, così, la possibilità di sfoggiare un diverso repertorio di identità e ignorando lo stato di alterazione, auto-celamento e la menzogna. E se anche tutta questa perfezione finisse per essere rimpiazzabile? Domandiamocelo appena finito il drink, dopotutto siamo in vacanza.

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