PAVEMENTS DI ALEX ROSS PERRY: CALEIDOSCOPICA MEDITAZIONE SULLA BAND INDIE ROCK PAVEMENT

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Well, show me a word that rhymes with pavement

[Pavement, “Harness Your Hopes”, 1999]

Presentato in anteprima mondiale all’81ª Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, Pavements di Alex Ross Perry è un ritratto inedito, sfaccettato, inusuale e spiazzante di una delle band indie rock statunitensi più influenti degli anni Novanta, i Pavement.

L’eccentrico regista, avvicinato dall’etichetta discografica Matador Records per sviluppare una sceneggiatura, ha optato per un progetto che non fosse un tradizionale biopic celebrativo, piuttosto un amalgama di generi volutamente dissonante e alternativo – come la musica dei Pavement – capace di intrattenere e coinvolgere. Oltre a scardinare, parodizzando, il genere del biopic musicale – ritenuto dallo stesso regista “unnecessary” – emerge anche la volontà di sperimentare, di orchestrare una pluralità di registri linguistici per creare un’opera anticonvenzionale, un esperimento che si muove tra finzione e realtà, libero dalle regole e dai confini del racconto classico.

Definito da Perry un «ibrido prismatico di forme narrative, sceneggiate, documentaristiche, musicali e metatestuali», Pavements si configura come una matrioska cinematografica in cui le parti non si incastrano intenzionalmente e non seguono una narrazione lineare ma sono accomunati dall’idea che i Pavement, come vengono sarcasticamente presentati nei primi cartelli nei minuti iniziali, siano “la band più importante e influente del mondo”.

Il nucleo principale che funge da punto di partenza documenta in modo attento e curioso le settimane di preparativi per i primi concerti del tour di reunion previsto per l’autunno 2022. Il tutto si intreccia con un ricco materiale d’archivio, tradizionali filmati amatoriali e di repertorio del periodo d’oro dei Pavement negli anni ‘90. Si tratta sostanzialmente della struttura di base del film che fornisce la storia e il contesto necessari per conoscere i Pavement. È una biografia visiva, critica e celebrativa che vuole catturare l’essenza della band guidata da Stephen Malkmus, acclamata dalla critica ma mai diventata così famosa. L’intento è ripercorrere le tappe più importanti della loro carriera, esplorare le caratteristiche del loro background musicale, la loro iniziazione artistica durante il periodo scolastico, il loro rapporto con la grande industria musicale degli anni ‘90. Un quadro complessivo catturato attraverso uno sguardo nostalgico e originale.

Tra i materiali inediti, molto spazio viene dedicato al disastroso concerto al Lollapalooza del 1995, durante il quale la band fu costretta a interrompere la performance poiché diventata bersaglio di un incessante lancio di fango e oggetti da parte del pubblico. Un episodio che segnò uno dei momenti più drammatici della loro carriera e che alimentò il malcontento di una band ormai sull’orlo della frattura. I livelli di ironia si svelano progressivamente, attraverso i filmati d’archivio in cui Malkmus si comporta in modo goffo nelle interviste, rivelando come i Pavement non abbiano mai saputo gestire la loro immagine pubblica né conciliare le loro ambizioni con la reputazione che li precedeva. Da questa dimensione documentaristica emerge anche un ritratto malinconico di Malkmus, figura centrale ma anche la più instabile e drammatica del gruppo, un personaggio da osservare e analizzare, insieme al suo attuale approccio alla musica, molto meticoloso e attento rispetto agli anni ‘90.

Pavements non si limita a raccontare solo la storia della band, ma documenta anche lo sviluppo di tre progetti artistici paralleli, tutti realizzati nel 2022, contemporanei alla recente reunion: un’installazione museale dedicata al gruppo, un jukebox musical in stile Broadway che attinge dalla discografia della band e un biopic… falso. Perry e l’editor Robert Greene combinano sequenze documentaristiche con segmenti di finzione, non sempre verosimili, creando un’atmosfera al contempo persuasiva e sarcastica.

Dal backstage delle prove dei Pavement il focus si sposta e segue la produzione, i casting e i preparativi di un musical, che prende il nome dall’album di debutto “Slanted! Echanted!” e richiama lo stile di American Idiot, il musical ideato e incentrato sui Green Day. Naturalmente attinge alle canzoni più popolari del gruppo per creare una storia sincera, semplice, quasi banale: un ragazzo si innamora, diventa famoso e riflette sull’amore perduto. Il tutto è arricchito dall’inserimento di voluti elementi ironici che smorzano il tono melodrammatico. La particolarità di questo progetto è che si tratta di uno pseudo-evento: Perry ha scritto e diretto un musical vero e proprio solo per poterlo inserire nel film. È stato realmente messo in scena nel 2022 a New York, con la partecipazione di attori come Michael Esper, Zoe Lister-Jones e Kathryn Gallagher realmente impegnati sul palco in ridicole coreografie melodrammatiche su brani particolarmente grezzi come “Spit on a Stranger”.

Alternate a queste immagini, Perry racconta l’allestimento e l’inaugurazione, documentata da un servizio al telegiornale (fittizio), di una esposizione museale temporanea tutta dedicata alla storia della band e intitolata “Pavements 1933-2022: A Pavement Museum”. Anche questo evento è realmente accaduto, nel quartiere Tribeca di Manhattan, nell’autunno del 2022, alla presenza dei membri della band, di fans e di giovani musicisti che si sono esibiti eseguendo le cover dei brani più celebri dei Pavement. La mostra, curata anch’essa da Perry, raccoglie una serie di oggetti improbabili, cimeli veri e falsi, esposti come reliquie in una galleria allestita ad hoc, ispirata al Whitney Museum – un voluto rimando al luogo in cui alcuni membri della band Malkmus e Nastanovich hanno lavorato come addetti alla sicurezza.

Il terzo progetto è il più casuale e autoreferenziale di tutti: il dietro le quinte di un mockumentary in fase di realizzazione. Intitolato Range Life, questo biopic fittizio, scritto e diretto sempre da Perry, avrebbe dovuto portare la storia della band a vincere l’Oscar, sulla falsariga di Bohemian Rhapsody (B. Singer, 2019), citato e sottilmente deriso a più riprese. Questo “film all’interno del film” vede la partecipazione di attori come Joe Keery, Fred Hichinger, Logan Miller, Nat Wolff e Griffin Newman nei panni dei membri della band, e di Jason Schwartzman nel ruolo del fondatore della Matador Records, Chris Lombardi. Risulta la parte meno realistica e “demenziale” dell’intero film: le scene sono volutamente scadenti, costellate da momenti comici e ridicoli, e da battute stereotipate che caratterizzano i provini, i backstage, le interviste. Il tutto assume una forma chiaramente parodistica.

L’elemento di spicco di questo progetto è, senza alcun dubbio, Joe Keery che interpreta se stesso – o meglio, un attore che deve interpretare Malkmus – con una preparazione quasi maniacale per entrare nel personaggio. Perry dedica particolare attenzione a monitorare il percorso di Keery il quale, in modo comicamente pretenzioso, si immerge completamente nel ruolo, lavorando con una vocal coach per perfezionare il caratteristico accento californiano del frontman e cercando persino di scattare una foto alla lingua del cantante per esaminarla e studiarne il movimento. Questi spezzoni sono intenzionalmente ridicoli e banali: Keery affronta il suo personale viaggio verso l’impersonificazione di Malkmus con l’intensità di chi si sta preparando per un ruolo shakesperiano.

Lo scopo di questo sfrontato “anti-biopic” creato da Perry è evidente: prendere in giro, in modo bonario ma provocatorio, il genere del biopic da alto budget hollywoodiano, ideato fondamentalmente solo per vincere dei premi.

Alex Ross Perry adotta un approccio caleidoscopico per catturare l’essenza della band. Le quattro sezioni del progetto, ognuna con una modalità di produzione distinta, si sovrappongono e spesso vengono riprodotte contemporaneamente (e parallelamente) su uno schermo diviso, attraverso continui salti temporali. Gli split-screen diventano espedienti fondamentali, originali ed efficaci, per unire i vari segmenti, i quali presi singolarmente non riuscirebbero a restituire una visione completa della band; ci permettono di godere di più punti di vista, stabilendo fin da subito un senso di pluralità sia visiva che narrativa. In questa presentazione stratificata, i progetti possono essere accorpati lungo due assi interessanti; da un lato abbiamo la parte retrospettiva: le immagini di repertorio della band, contrapposte alle sequenze realizzate ad hoc nel 2022 e alla presentazione del museo, offrono una riflessione sul passato, mettendolo in relazione con il presente, creando una cronologia vaga. Dall’altro lato, il musical e il progetto del biopic, in chiave ironica, incarnano lo spirito e le riflessioni del gruppo.

Pavements rompe intenzionalmente gli schemi tradizionali dando vita a un’opera disordinata e frammentata, priva di regole, in cui visioni e identità, pur restando diverse, si ritrovano all’unisono. Seppur la prima parte del film possa sembrare tortuosa e straniante, il rapido alternarsi delle quattro traiettorie contribuisce a costruire un quadro completo della storia della band, tra passato e presente.

Il film testimonia tanto l’ammirazione – o infatuazione – di Perry per i Pavement quanto la sua abilità e attenzione nel raccogliere e manipolare il materiale, creando un racconto che mescola realtà e finzione in un continuo oscillare. Questa sovrapposizione caotica, pur potendo disorientare lo spettatore inesperto fino a farlo dubitare dell’esistenza stessa della band, lo cattura in un universo visivo e sonoro dinamico e coinvolgente.

Pavements non segue le convenzioni del documentario “tradizionale” intrinsecamente autocelebrativo, ma riflette l’essenza sperimentale della band, infrangendo gli schemi con la stessa energia ribelle che ha sempre caratterizzato i Pavement. Il caos visivo, lungi dal confondere, affascina e coinvolge, guidando lo spettatore in un viaggio che racconta non tanto la carriera della band quanto l’atmosfera unica che li ha definiti.

Il successo del film risiede nella capacità di incarnare lo spirito della band con autoconsapevolezza, ironia e un’incredibile ricerca dell’assurdo, restituendo al pubblico la loro autenticità. In questo ritratto nostalgico, Perry celebra e omaggia l’umorismo sardonico della band, invitando lo spettatore a scoprire un mondo unico, complesso e affascinante.

Il film, nella sua stranezza e ambiguità, sembra semplicemente presentare la realtà ironica e sfaccettata della band. I Pavement sono tanto folli quanto la narrazione creata da Perry per celebrarli.

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