Alla festa di mezza estate si bevono birra e schnapps. Il sidro è per i pappamolle. Io non lo comprerei mai il sidro.
Io ho comprato degli shottini a gusti diversi.
Sì, è così che si fa per la festa di mezza estate.
Altezza, pericolo. Cosa accade nella mente di un essere umano quando cadono le maschere sociali? Quando la ragionevolezza viene meno e si innescano gli istinti primordiali. Adrenalina. Scelte sbagliate e controcorrente. Il caldo, gli amici, la testa che gira per colpa dell’alcool. Frasi dette e cose fatte sotto l’effetto di quei liquidi che trasportano in una dimensione altra, parallela. Quasi allucinazioni.
Autobiographical scene number 6882 mostra un gruppo di amici a Smögen, in Svezia, che festeggia la vigilia del giorno di mezza estate. Sono equamente divisi, tre donne, tre uomini. Il gruppo è su un ponte. Ride, scherza, si prende in giro. Uno di loro, Martin, vorrebbe tuffarsi nel fiume che velocemente scorre sotto di loro. Una trovata brava, un momento leggero. Pare non farlo davvero poi, appena un anziano passando di lì ammonisce tutti. Dice che qualcuno era addirittura morto. Quando allora la vita è in pericolo, non c’è più spazio per l’euforia. E allora si torna indietro, sui propri ragionevoli passi. Basta una frase, e il tono di sfida degli amici, che Martin esce di nuovo di senno, e torna al ponte per lanciarsi e scomparire nel vuoto. La punta di un iceberg che in pochi minuti si spezza.
Il cortometraggio di Ruben Östlund dimostra le fragilità umane in soli otto minuti. Con pochissime inquadrature, dipinge l’audacia di essere giovani, la leggerezza, la sfrontatezza, la paura, infine, il sollievo.
C’è un talento nel raccontare le tensioni sociali in questo modo, riportando in camera il pensiero fallace di gruppo e la fragilità dell’equilibrio ragionevole, che cade quando sono gli antri più bui dell’anima a prendere il sopravvento.
È significativo che tutto accada tra i colori caldi e la stagione estiva, durante i giorni dedicati alla festa di mezza estate. Un momento solitamente gioioso, allegro e pieno di vita si trasforma esattamente nel suo contrario. Ansia, paura e conflitti vengono a galla. Ma Östlund non è il primo regista a creare questa dimensione così contrapposta. Dal titolo lampante nel cinema più recente c’è Midsommar, il film horror del 2019 diretto da Ari Aster, in cui una coppia di giovani, ormai al collasso della loro relazione, decide di fare un viaggio in Svezia proprio durante la grande festa di mezza estate. Questa storia, densa di assurdità ed elementi disturbanti, è però un adattamento più unico che raro dell’opera Sogno d’una notte di Mezza Estate del famoso poeta e drammaturgo William Shakespeare. Questa commedia segue quattro storie d’amore, tra “quadrati amorosi” e magia.
L’opera arriva al lieto fine, e tutto è bene quel che finisce bene… O forse no?
Elementi orribili, agghiaccianti e raccapriccianti si trovano sotto le scene apparentemente innocenti e comiche dell’opera. È proprio da questi elementi che Midsommar trae ispirazione, senza copiare scena per scena l’opera shakespeariana, ma adattandola in maniera contemporanea.
L’amore e le relazioni umane sono al centro sia del film che della commedia teatrale, rappresentate sempre in maniera distorta e grottesca. La magia, le allucinazioni e la distorsione dimostrano la possibilità di trasformare la commedia shakespeariana nel genere che pareva essergli più lontano: l’horror.
Piano piano, tra le due opere si scoprono somiglianze riguardo la violenza inespressa e i temi inconsci, che come accade nel cortometraggio di Östlund, arrivano a sfociare in atti impensabili come quello di Martin. E tutto accade esattamente durante il periodo di giugno. Non è strano ma incredibilmente d’impatto come sia ciò che è più lontano a dipingere meglio le incrinature del mondo? E che nonostante la luce che si manifesta durante quei giorni estivi, sia sempre più forte il male, l’irragionevolezza dell’essere umano?
Sorprendentemente, tre autori, in tre epoche diverse, attraverso tre generi e stili differenti, hanno utilizzato la discordanza di elementi visivi ed emotivi per rappresentare il filo sottile che continuamente tende a sgretolarsi nelle relazioni umane.
Si arriva a qualcosa di assurdo e assolutamente non ragionevole, non razionale, ogni qual volta i personaggi vengono obbligati ad affrontare qualcosa che provoca uno scompenso a livello emotivo. E quale modo migliore di far capire a chiunque l’orrore del mondo, una realtà che è al collasso, rappresentandolo in un luogo visivamente più lontano possibile? Calandolo in ciò che non è immediatamente associabile o normalizzato.
Il contrasto tra un’immagine di festa e ciò che davvero è la realtà, porta ancora più a galla e sottolinea maggiormente come l’ombra che circonda i sensi primordiali umani esista, a prescindere da ciò che ha intorno.
Qui si inserisce allora il nostro senso di giudizio. Il nostro additare quelle azioni come lontane da noi, semplicemente perché diventano così lampanti calate in una situazione antitetica. Nulla è più efficace di ciò che ci disturba. Nulla è più forte di un film che non è piaciuto, ma ha fatto male. Perché in fondo i film non fanno davvero male, ma se accade, significa che era il film giusto.
La sensazione di paura agghiacciante e inspiegabile che proviamo con qualcosa che ci disturba ai livelli più profondi dell’essere è quindi solo il frutto di quella calda luce che domina la scena e lascia a bocca aperta di fronte alla reale cattiveria umana.