DAMMENE TROPPA. L’OCCHIO D’ORO DI MARCO MELANI NEL FILM DI CHIARA SEGHETTO

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“Dammene troppa” – di marmellata – chiedeva alla mamma il bambino citato dallo scrittore e aforista francese noto come Chamfort. Quest’espressione ricorre nei testi scritti da enrico ghezzi (rigorosamente minuscolo) e raccolti nel libro L’acquario di quello che manca (a cura di Aura Ghezzi e Alberto Pezzotta, con un testo di Elisabetta Sgarbi, La nave di Teseo, 2021); tale richiesta sovrabbondante, sublime, oltre e fuori misura, si adatta però non solamente alla strabordante produzione creativa ghezziana, ma anche alla figura di Marco Melani, protagonista di un periodo felice della televisione italiana, dei festival cinematografici e del cinema internazionale, purtroppo poco ricordato dalla storia, dalla critica e quasi rimosso dalla memoria collettiva.

Di Marco Melani lo stesso ghezzi ricorda, nel libro co-curato insieme a Fabio Francione intitolato Marco Melani. Il viandante ebbro (Falsopiano 2002), gli «occhi eccessivi che spesso in futuro sarebbero stati considerati tali perché drogati, chimicamente eccitati. Grandi, o pulsanti, e poi sempre più contratti, rimpiccioliti (“l’occhietto”), intermittenti e scivolanti nel sonno negli ultimi anni.» Anche il regista underground Alberto Grifi intitola il proprio intervento nel libro “Troppa vita, troppa morte”, poiché la dismisura sembra essere la cifra per comprendere la persona e il personaggio marcomelani (come scrive ancora lo stesso enrico ghezzi).

Anche Bernardo Bertolucci ricorda che «Le serate con Melani erano interminabili come i film che amava non voleva finissero mai» e il regista sperimentale Tonino de Bernardi richiama, con una scrittura fuori norma com’è giusto che sia, le probabili origini di tale appassionato e vitale legame di Melani con il cinema:

Il nonno tutte le sere quando lui era bambino e stavano sempre insieme lo portava al cinema dove faceva il bigliettaio cassiere non ricordo se si trattava del cinema della cooperativa operaia o qualcosa del genere, e il giorno di riposo del cinema di San Giovanni il nonno lo portava al cinema a Firenze proprio perché non si poteva resistere senza film e così Marco crebbe vedendo chissà quanti film e lì va ricercata una delle possibili origini lontane della sua ampiezza di visione del cinema, intendo non tanto perché vedeva ogni giorno film quanto invece il contesto mitico affettivo in cui la cosa accadeva e cioè quel nonno e tutto quello che per lui stava probabilmente intorno a quel nonno.

Melani è stato tanto: attore e collaboratore dell’amico cineasta underground Piero Bargellini, con il quale sperimentò nuove forme di espressione ispirate al New American Cinema; aiuto-regista e sceneggiatore di Gianni Amico (Le cinque stagioni, 1976 e Le affinità elettive, 1979), di Roberto Benigni (Il parolaio, 1978) e di Enrico Rava (I cornigliesi, 1978); critico cinematografico, instancabile animatore intellettuale, organizzatore di importanti rassegne come Ladri di cinema – che vide la partecipazione agli incontri da lui curati di registi quali Billy Wilder, Elia Kazan, Bernardo Bertolucci – ma anche di festival come Taormina, Torino e Salso Film & TV Festival (festival cinematografico e televisivo che si è svolto dapprima a Monticelli Terme, poi a Salsomaggiore Terme tra il 1977 e il 1991) dove scopre e fa conoscere Marco Tullio Giordana, Fiorella Infascelli, Amos Gitai, Kenneth Anger, Otar Ioseliani. Dal 1985 collaborò con la Rai: prima con enrico ghezzi per “La magnifica ossessione” (una maratona televisiva di quaranta ore per celebrare i 90 anni della prima proiezione pubblica dei Fratelli Lumière), poi con il gruppo di Schegge, Blob, e Fuoriorario, programmi divenuti cult per intere generazioni di appassionati.

Il tentativo ammirevole di colmare il colpevole vuoto critico e l’oblio che si è creato in seguito alla sua morte (avvenuta nel 1996, a causa dell’AIDS e di una vita di uso e abuso di droghe) viene portato avanti da più di dieci anni dalla regista Chiara Seghetto (con la collaborazione di nomadica.eu e il montaggio di Giuseppe Spina): con il suo progetto intitolato Marco Melani – The man with the golden eye, la regista intende raccontarlo, poiché ciò significa «rivendicarlo […] il suo agire il cinema ha molto da insegnarci: come spettatori, come autori, come curatori e come critici». Il film in progress che la regista sta realizzando consiste nel montaggio delle tracce (filmati d’archivio, immagini, film e interviste da lei stessa raccolte) lasciate da Melani in chi l’ha frequentato, conosciuto e amato; in modo del tutto indipendente, sono state effettuate oltre trenta interviste a parenti e amici, registi, critici, curatori, tra i quali troviamo grandi nomi del cinema italiano e internazionale, della critica e della televisione come Otar Ioseliani, Amos Gitai, Giuseppe Bertolucci, Clare Peploe, Fiorella Amico, Chema Prado, Tonino de Bernardi, Paolo Benvenuti, Francesca Archibugi, Julio Bressane, Enrico Ghezzi, Adriano Aprà, Marco Giusti, Sergio Grmek Germani, Roberto Silvestri e tanti altri. Il materiale finora raccolto proviene da archivi privati, dall’archivio personale di Melani e una piccola parte dagli archivi Rai, e si prefigge lo scopo, come afferma la stessa autrice, di «percorrere la sua vita lavorativa e affettiva (due dimensioni per lui sempre strettamente correlate), intrecciando ricordi, testimonianze, visioni e film, in modo inaspettato, come il nostro ci insegna.»

Diciamo già da ora che il film non è completo e non sarà completo senza l’aiuto di tanti. Chiara Seghetto ha infatti aperto una raccolta fondi (qui il link) per concludere il suo decennale lavoro di ricerca. Mancano ancora numerose interviste, anche all’estero, per cercare di raccontare nella maniera più esaustiva possibile una figura così complessa e una vita così ramificata come quella di Marco Melani.  Il progetto diviene quindi un faro che schiarisce le tenebre, un luogo di ricerca e di attenzione, dedito alla riscoperta di un «potente e raffinato parlatore [che] agiva il cinema creando ponti e connessioni: tra registi provenienti da ogni parte del mondo, tra autori e attori (la coppia Roberto Benigni e Jim Jarmusch ne è un esempio [qui il riferimento è all’amicizia nata tra i due nel 1985, quando erano entrambi membri della Giuria del Salso Film & TV Festival di Salsomaggiore, dalla quale scaturirà una collaborazione per tre film di Jarmush – Daunbailò (Down by Law, 1986), Night on Earth (1991) e Coffee and Cigarettes (2003) ndr.]), tra critici e registi, tra pubblico e autori» (Seghetto).

La valorizzazione del lavoro e della vita professionale e affettiva di Melani non è un capriccio, poiché egli rappresenta un esempio e un modello che ancora oggi vive sottotraccia: certa televisione attuale, così come alcuni festival e modi di fare e vedere il cinema, portano ancora i suoi segni. D’altronde, come ricorda Giuseppe Bertolucci,

Marco era lo spettatore ideale, il più straordinario spettatore che ho mai conosciuto. La funzione di spettatore è una delle più difficili da esercitare. E da definire. Prevede un intreccio infernale di sensibilità e di competenze. Prevede un tasso insostenibile di parzialità e di arbitrarietà. Prevede soprattutto un’inesauribile capacità di identificazione, un terrificante mimetismo, una disponibilità in odore di santità. Sono più rari i grandi spettatori dei grandi autori. E il loro destino è l’anonimato, il buio, il silenzio, l’oblio.

Melani nel film Erinnerung an die zukunft (1970) di Piero Bargellini.

Da grande spettatore bambino e adulto, a detective che scopre fulminei legami tra opere lontanissime, in un metodo che cerca il dialogo e spesso lo crea dove non esiste. Così, l’inventiva straordinaria, troppa, esagerata e poco pragmatica si coglie in idee formidabili e rivoluzionarie che hanno fatto storia, come quelle raccontate dal critico Adriano Aprà, vicino a Melani per molti anni:

A Marco si deve l’idea un po’ folle, date le nostre modeste finanze, del videoconvegno dell’82 [al Festival di Salsomaggiore, ndr], poi replicato, con qualche difficoltà, con i videotrailer dell’88, cioè video di giovani registi italiani prodotti dal festival. A lui si deve l’idea di chiamare Kenneth Anger a presentare i suoi film misti a quelli di cui parla in “Hollywood Babilonia”. A lui si deve la presenza di Benigni nelle serate conclusive, gratis. E tante altre cose che hanno fatto di quel piccolo festival, e non lo dico io, uno dei migliori degli anni ’80.

Marco Melani e Adriano Aprà.

La difficoltà di raccontare il personaggio è anche dovuta a ciò che ghezzi individua come lo «spreco di sé, di cose pensate in diretta, mai trattenute capitalizzate stitiche. […] Distanza forte dalla scrittura, dal momento misterioso e sottilmente omicida/suicida in cui un pensarsi decide di voler essere e lasciarsi “traccia”, di offrirsi o nascondersi ai mille altri occhi, ai narcisi rifratti all’infinito rimbalzanti dallo specchio rotto». Nei ricordi di Aprà e di altri suoi colleghi e amici, Melani è sempre rievocato come un uomo dedito alla parola, alla critica orale, in contesti piacevoli di scambio, dove tutti erano suoi amici e dove il gettare parole al vento contribuiva ad «agitare le acque» (Aprà) nel contesto spesso asfittico della critica cinematografica. Non vi era più, almeno nel circolo di critici legato al FilmStudio, la necessità di fissare, monumentalizzare i commenti critici scrivendo su carta, ma al contrario si tendeva a spargere idee, lanciare segnali, creare collegamenti istantanei – e forse oggi in parte perduti – oltre i confini geografici e cronologici.

Continua, a tal proposito, Aprà:

Con gli anni ho notato che la posizione di Marco è stata sempre subalterna a chi di volta in volta gli stava a fianco. Marco forniva le idee e riservava la gloria agli altri, seminava e non si preoccupava di raccogliere. C’era in questo molta generosità, ma era anche una delle conseguenze della droga, che finiva per essere sempre al primo posto nei suoi interessi immediati, e che lo metteva in un atteggiamento di dipendenza, da altri e da altro.

Oltre alla sua dipendenza però, la vocazione all’esplorazione del diverso, unita alla sensibilità per il nuovo e all’intuizione geniale, fanno di Melani l’Uomo dall’occhio d’oro, alter ego de L’uomo dal braccio d’oro – The man with the golden Arm di Otto Preminger, film nel quale Frank Sinatra interpreta un tossicodipendente, abile mazziere e promettente batterista. «Marco riusciva a trovare qualcosa di bello, di interessante, in qualsiasi film. […] amava così tanto il cinema da essere riuscito a dotarsi di una speciale sonda che gli permetteva di vedere ciò che a molti, moltissimi, sfuggiva del tutto», così scrive il gruppo di realizzatori della rassegna dell’82 “Ladri di cinema” (Stefano Consiglio, Daniele Costantini, Francesco Dal Bosco, Fabrizio Varesco). La capacità di cogliere (ma non costringere) ciò che sfugge, nella vita come nel cinema, definisce quindi “lo specifico” di Melani, il quale aveva capito la natura fuori fuoco del mezzo cinematografico, fuori sincrono, troppo e oltre.

Le parole che ghezzi rivolge all’amico scomparso in apertura di un puntata di FuoriOrario a lui dedicata, mentre presenta i film in programma nella notte (Marlene de Sousa di Tonino de Bernardi, Erinnerung an die zukunft di Piero Bargellini e L’amico immaginario di Nico D’Alessandria), racchiudono forse la summa di un continuo (s)fuggire e (s)fuggirsi, consumar(e)si, rincorrersi, acchiapparsi per poi rilasciare, in un desiderio “troppo” che non si può avverare:

è un cinema lontano, lontano dal dover essere a fuoco, ma un cinema che andava a fuoco per conto suo mantenendo il fuori fuoco, mantenendo il diritto di essere poco nitido fotograficamente, perché quello che si fotografa non è mai una forma definita, ma la forma definita del fotografare e del filmare non può che fotografare l’incerto, il frattale, proprio per seguire la microdinamica dei sentimenti, delle storie, o la microimmobilità, la macroimmobilità, quella vitrea dell’occhio nabokoviano, di qualunque cinema, anche del più caldo. Si può dire che quello di questa notte è un cinema caldo, legato all’insoddisfazione, dell’(in) (sod) dis-fare il cinema [questo il titolo della puntata di Fuoriorario, ndr.], del calore di Marco Melani. Ma poi chiunque lavori di cinema, giochi sul cinema, sa quanto ci sia di vitreo, di fermo, di morte in questa vita, in questa passione.

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