È un «cinema che cerca, che sonda il mistero dello sguardo e del volto» (M. Bertozzi, Eccentrico, amatoriale, sperimentale. Appunti sul cinema di Guglielmo Baldassini, 2017) quello che i cineamatori mettono in atto fin dagli inizi del Novecento. Una ricerca continua, perpetuata con mezzi amatoriali come i dispositivi filmici in formato ridotto, ma che in alcuni casi tocca vertici estremi di poesia, di immaginazione, di rappresentazione del sé e del proprio amore per la vita.
Guglielmo Baldassini, Marisa in casa, noi bastioni, giardini_7-1-928
Trattare di filmati familiari e di materiale d’archivio significa maneggiare delle creature sensibili. Ormai da decenni si sta assistendo al proliferare, su piccoli e grandi schermi, di immagini che provengono da un passato più o meno profondo: è possibile che ai più sia capitato di notare un sempre crescente utilizzo di materiale di repertorio e di immagini analogiche soprattutto in film documentari o anche in film di fiction, pensati per la grande distribuzione. Oltre a ciò, molti archivi filmici, primi fra tutti la Fondazione Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna, la quale si dedica al restauro e alla conservazione del patrimonio filmico amatoriale, familiare e d’artista, e da quest’anno AAMOD (Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Roma), stanno dando vita a festival dedicati alla riscoperta, alla valorizzazione e al riuso creativo del nostro patrimonio audiovisivo, richiamando attenzione sia sulle immagini del passato sia sulle sperimentazioni contemporanee che, attraverso quelle immagini, sono in grado di costruire nuove opere e attribuire loro nuove forme e significati. I festival Archivio Aperto (dal 2008 a Bologna) e UnArchive Found Footage Fest (dal 2023 a Trastevere, Roma) rappresentano a tal proposito due esempi virtuosi di valorizzazione e di apertura, come testimoniano anche i nomi scelti per entrambi: lo scavo archeologico nell’archivio, operato da restauratori, registi, artisti e studiosi, riporta alla luce piccole e grandi gemme audiovisive, pronte per essere riscoperte e risemantizzate da un nuovo pubblico.
Oltre alle occasioni dei Festival poi, gli archivi filmici stanno rendendo disponibile il proprio patrimonio anche su piattaforme digitali, assecondando ciò che la società odierna richiede. Oltre alle grandi cineteche come quelle di Milano e di Torino che rendono visibile parte delle loro collezioni, esistono anche progetti specifici come la piattaforma Memoryscapes o il progetto dell’Almanacco Home Movies 100, entrambi realizzati da Home Movies.
Memoryscapes segna un percorso innovativo in un panorama complesso come quello delle piattaforme digitali, poiché consiste nel primo archivio digitale italiano dedicato ai filmati familiari, ossia pellicole in formato ridotto (9,5mm, 16mm, 8mm e Super8) realizzate in modo più o meno amatoriale da cineamatori e cineamatrici per un uso privato, le quali vengono raccolte, preservate, catalogate e messe a disposizione in un archivio online, visitabile tramite percorsi tematici, cronologici, geografici e autoriali. I temi come Scuola e Infanzia, Cartoline italiane o Paesaggi Urbani (solo per citarne alcuni) raccolgono clip di pellicole anche molto distanti nel tempo, accomunate tuttavia dagli stessi soggetti tematici. La sezione Vite d’archivio raccoglie (ad oggi) materiali prodotti da cinque cineamatori prolifici, che hanno saputo rappresentare il proprio tempo con poesia e intelligenza.
Differente invece è l’Almanacco, progetto che consiste in una programmazione giornaliera che ripercorre la micro e la macro-storia del secolo scorso grazie alla pubblicazione di clip d’archivio nel sito homemovies100.it e sui principali social di Home Movies. La cadenza quotidiana permette di approfondire gli eventi e di scoprire curiosità sul passato tramite spunti filmici privati e amatoriali che ne raccontano una piccola, obliqua, spesso parziale prospettiva.
Si può affermare quindi che sia in atto oggi una vera rivoluzione: contrariamente a ciò che i filmati familiari e d’archivio sembravano incarnare, ossia un destino segnato, un movimento in direzione dell’oblio e della dimenticanza, l’epoca contemporanea sta permettendo un cambio di rotta; la pratica della rimediazione, da pellicola a copia digitale, è sintomo di come, quella contemporanea, sia l’«epoca dell’accesso» (S. Venturini, Il restauro cinematografico. Principi, teorie, metodi, 2006): le prassi d’archivio consentono il trasferimento dell’immagine su «un medium di visualizzazione», al fine di conservare, archiviare e riproporre l’oggetto. Tramite l’utilizzo delle tecnologie e delle pratiche di valorizzazione, si intende sfruttare la proliferazione di luoghi e spazi digitali per costruire una maggiore apertura dialettica nei confronti del passato. L’urgenza, da parte degli archivi, di aprire e aprirsi al mondo e nel mondo, di dis-archiviare ciò che non si vuole rimanga nel buio, deriva anche dalla volontà di celebrare alcune fondamentali tappe della storia dei formati ridotti.
Ricorre infatti nel 2022 / 2023 il centenario della nascita dei formati ridotti, ossia, come si diceva, di dispositivi di ripresa e proiezione – dal proiettore Pathé-Baby commercializzato nel 1922, alla macchina da presa a manovella e alle pellicole in 9,5mm (Pathé) e 16mm (Kodak) del 1923 – che hanno rivoluzionato la pratica della produzione di immagini in movimento, affiancando il cinema ufficiale e industriale e aprendo il campo anche ai semplici amatori. Ricordare e celebrare questa nascita significa ragionare sulla continuità e sui mutamenti dello sguardo, oltre che sulle differenze pratiche e di fruizione.
La “lettura” delle immagini (in movimento) è divenuta infatti una delle occupazioni cruciali per comprendere il nostro tempo, tanto che, come ricorda Georges Didi-Huberman riguardo all’iconoclastia furiosa e paradossale della nostra contemporaneità, gli individui che compongono la cosiddetta “civiltà delle immagini” necessitano di uno sguardo paziente, che a tale iconoclastia possa opporsi. Proprio praticando la pazienza, attraverso uno sguardo attento, lo spettatore contemporaneo dovrebbe porsi alcune domande fondamentali quando volge lo sguardo verso gli home movies e i filmati d’archivio, ossia chiarire quale sia la loro vera natura e come sia cambiato il loro significato nel mondo contemporaneo. È necessario ricordare che esiste una differente contestualizzazione, una diversa situazione, tra ciò che cento anni fa si credeva di poter produrre con i mezzi filmici e ciò che, passato un secolo, noi vediamo sulle piattaforme digitali o in rimodulazioni artistiche e sperimentali.
Riconsiderare oggi quelle immagini, attraverso uno sguardo situato cento anni dopo, significa cambiare il proprio punto di vista, passando dalla forma alla materia. Questa svolta si configura come un secondo rivolgimento visuale, nato in seguito allo sviluppo delle tecnologie digitali e alle prassi archivistiche. La restituzione di un materiale filmico in un formato e con strumenti (schermi e dispositivi digitali) diversi dall’origine costituisce una modalità di fruizione che si avvicina allo spettacolo, all’arte e all’«evento audiovisivo: un’occorrenza spettacolare e performativa, un atto temporaneo, inedito e dislocato rispetto all’intenzione della rappresentazione di un’autenticità perduta e di un’originalità inesistente» (S. Venturini, 2006).
Guglielmo Baldassini, Sotto la neve – Luciano in Battaglia – 30 genn. 927.
L’arbitrarietà delle scelte di rielaborazione operate dall’archivio – come l’aggiunta di sonorizzazioni ai film muti o il raggruppamento in categorie tematiche di film molto distanti – oppure operate dagli artisti, come il montaggio di found footage, deriva non da velleitarie volontà di intervento individuale su materiali ormai orfani, ma è conseguenza di una situazione, ossia di precise caratteristiche sociali, culturali, estetiche, tecnologiche e di condivisione comunitaria. Lo sguardo situato nel Novecento stabiliva nella ripresa filmica un’aura di quotidiana autenticità e di attaccamento emotivo ed affettivo ai soggetti ripresi, basando la propria natura sulla più o meno ingenua cattura del reale; invece, lo sguardo si situa oggi in una differente dimensione, nella quale hanno acquisito valore anche le caratteristiche fisiche, oltre che le cifre stilistiche ed estetiche, e dove le possibilità offerte dalle tecnologie digitali hanno ampliato la visione oltre i bordi del quadro. Le rielaborazioni operate su materiali d’archivio si caratterizzano, nel caso dell’archivio Home Movies, «per l’attenzione e il rigore nel mettere a punto dispositivi che sono prima di tutto dispositivi di lettura e di riflessione sul cinema amatoriale, sulle sue pratiche, sui suoi supporti, sul suo linguaggio» (G. Torri, “Ai margini. Sperimentali, militanti, autoprodotti nel documentario italiano” in A. Aprà (a cura di), Fuori norma. La via sperimentale del cinema italiano, Venezia 2013). Allora, la ri-modellazione effettuata in chiave autoriale ha per certo come fondamenta il materiale originale, sulla base del quale si innesta tuttavia, come molla propulsiva, la riflessione critica sull’odierna cultura visuale.
Rivedere sul proprio schermo i volti di bambini che oggi non ci sono più o assistere ad una performance di sonorizzazione di materiali d’archivio in un contesto festivaliero significa oggi ridare voce a ciò che per lungo tempo è rimasto silente, evitando il sentimentalismo e avvicinandosi sempre più alla comprensione lucida della propria contemporaneità.