Quando ci si approccia ad un autore, classico o contemporaneo che sia, si è sempre spinti a cercare l’opera che meglio riassuma la sua cifra stilistica. Ben presto ci si rende conto che le tematiche sono sempre le stesse, ma sono rese nuove dalla potenza espressiva del narratore. Almeno così dovrebbe essere la regola. Carl Theodor Dreyer appartiene sicuramente a quella schiera di cineasti dallo stile riconoscibile, emblema di un’autorialità diventata proverbiale di cui i non avvezzi si riempiono la bocca quando devono rivolgere gli sfottò ai cinefili più incalliti. Un regista che è senza esagerazione alcuna un punto cardine per la storia del cinema, sia come pioniere che come artista.
Le tematiche trattate nei suoi lavori non sono proprio le più allegre, ma la sua capacità di scuotere lo spettatore lavorando per sottrazione rimane ancora oggi una tappa obbligatoria da cui partire. De nåede färgen (in italiano “Raggiunsero il traghetto”) è un lavoro che si colloca nella seconda fase della carriera di Dreyer, fatta di lunghe pause tra un lungometraggio e l’altro. Questo corto uscì nel 1948, tra “Dies Irae” e “Ordet”, e fu finanziato dal Comitato Ministeriale per la cinematografia danese per la prevenzione degli incidenti stradali. Una pubblicità progresso ante litteram, in pratica. Un racconto breve dalla trama esile che funge da biglietto da visita per il suo autore.
Due giovani in motocicletta attraccano in un porto e, dovendosi affrettare per raggiungere un altro traghetto in partenza, si lanciano in una corsa spericolata. Questo ci viene detto con una sola inquadratura e poche battute, coprendo un solo minuto degli undici complessivi di durata. Il rombo del motore è una presenza costante e assordante nel sonoro, mentre il lato visivo si concentra sulle riprese accelerate della corsa in moto. Gli elementi di sfondo però si distinguono chiaramente: i carri, i cavalli e i contadini che li trainano sono talmente ridondanti che dopo un po’ sorge il dubbio che i protagonisti girino in tondo. La realtà diventa sempre più difficile da ricostruire e sembra di trovarsi in un limbo, in cui è l’angoscia a farla da padrone. Un’angoscia legata alla presenza costante della morte, che accompagna i protagonisti fin dalla prima inquadratura: il traghetto approda con la lentezza di un carro funebre, mentre le manovre e i sorpassi pericolosi ricordano sempre che basta un attimo per far finire tutto. La Nera Signora assume infine la forma di un pallido signore che guida un’automobile con ossa umane disegnate sulla carrozzeria, un elemento che a raccontarlo viene da ridere, lasciando spazio anche ad una macabra ironia, che anche il titolo e il finale lasciano intendere.
È interessante notare come Dreyer mostri i due ragazzi che trovano la morte (in senso letterale) e come essa sia fondamentalmente passiva. La macchina-scheletro è presente dall’inizio (lo fanno notare anche loro) e li supera, ma la fretta li spinge non solo ad incrociarla di nuovo, ma anche a sfidarla con un misto di spavalderia e ingenuità. Lo sguardo sembra quello di un anziano che si lamenta di come guidano i giovani, supposto target di questo breve film. Ci troviamo quindi davanti ad una “cautionary tale”, e trattandosi di un’antica pubblicità progresso non ci si deve aspettare altro, ma la capacità immaginifica del suo regista non solo salva il corto dall’abisso delle storie didascaliche che lanciano messaggi in modi spesso discutibili e inclini ai facili moralismi, ma lo rende anche il compendio dello stile di un autore che continua a fare scuola.
Per chi volesse recuperarlo, è reperibile su YouTube a questo link: www.youtube.com/watch?v=Vd8uZe5NHdY.