MEMORIA BREVE VOLUME DODICI: ARI ASTER

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Beau ha paura sta generando pareri discordanti sulle reali qualità da regista di Ari Aster. Forse, però, gli è stato riconosciuto troppo credito prima. Già i suoi primi due film non convincevano al 100%.


Volevo essere Shyamalan. Questo potrebbe essere il tweet/recensione di Hereditary debutto alla regia di Ari Aster. E Toni Colette forse non era lì per caso. Aster non era uno sprovveduto esordiente, costruiva una tensione insostenibile e tutta la prima parte, compresa la scena shock clou, funziona tuttora. Poi, però, finiva col fare la figura del secchione che infila tragedia (durante le lezioni si parla di Eracle, Ifigenia), culti esoterici (l’evocazione di Paimon è narrata in un testo del 17mo secolo) provando a seguire la scia dei migliori horror degli ultimi anni (Babadook, The Witch). L’accumulo non veniva gestito bene, la trama gli sfuggiva da tutte le parti e l’impressione è che quella gran montagna di tensione abbia partorito un topolino.

Anche Midsommar dimostrava che sicuramente Ari Aster ha un controllo della messa in scena da veterano e sa quello che vuole ovvero far parlare di sé ed essere trend topic di forum cinefili che non vedono l’ora di snocciolarne i mille riferimenti (The Wicker Man ed epigoni, un po’ di Picnic ad Hanging Rock e di Jodorowsky). Più del primo, tuttavia, Midsommar è prestige horror for dummies, fuffa stranoiosa che neanche Florence Pugh riesce a far digerire.

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