GIOVANNI VENTO, IL NERO: LA VERTIGINE DELLA ROVINA DELLA NAPOLI AFRODISCENDENTE

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Il primo e unico lungometraggio di Giovanni Vento, Il Nero (1967), è un vibrante metadocumentario sui «figli della guerra» o «figli della Madonna», nati a Napoli tra il 1945 e il 1946 dall’incontro dei soldati afroamericani della Quinta Armata con le donne del capoluogo campano.  Presentato in anteprima mondiale alla 17ª edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino, il film ha ricevuto numerosi apprezzamenti dalla critica (tra gli altri, si ricordano quelli di Guido Aristarco e Carlo Lizzani), senza riuscire mai, però, ad essere distribuito commercialmente nelle sale italiane.

Lungi da un approccio voyeuristico limitato a catturare il carattere esotico di questa giovane generazione, la scelta dell’ibridazione della forma film con quella del reportage televisivo consente all’autore di destrutturare qualsivoglia sguardo differenzialista sulla realtà, evitando tanto un superficiale pietismo nei confronti dei protagonisti afrodiscendenti quanto una inopportuna caricatura della loro alterità.

Il desiderio di Vento di realizzare un «cinema della persona», evidentemente influenzato dall’estetica della Nouvelle Vague, si concretizza in un risultato poetico dalla portata sovversiva, in grado di problematizzare l’esser(ci)/non esser(ci) nella società nei termini di un racconto di esistenze sospese tra l’attesa e il ricordo. Rifiutando di rappresentare una Napoli prigioniera della sua stessa immagine stereotipata, qui il confine tra sfera pubblica e privata, la cui porosità era stata già catturata dal regista nei corti del 1964 O’ balcone e I bambini di Napoli, mantiene il proprio statuto irrimediabilmente duale, reinventato però in un contesto urbano moderno.

Questa nuova realtà di incontri eterocliti e plurali è calata nella configurazione, tanto topografica quanto sociale, di una città non più classicamente ipogea – il “mondo di sotto” del tempo dei simulacri e della tradizione è del tutto assente -, ma protesa verso una dimensione orizzontale che fa della strada una condizione esistenziale universale. La giovane borghesia multiculturale che è protagonista de Il Nero vive, infatti, in una metropoli che si riscopre lontana parente di quella famosa rappresentata nelle immagini da cartolina, in quanto ora risulta caratterizzata da caleidoscopiche luci al neon e da una crescente industrializzazione.

Non è un caso, dunque, che in una delle scene più interessanti del film, girata al di fuori della città, tra il sito archeologico romano di Minturno e il cimitero di guerra del Commonwealth di Cassino, uno dei personaggi principali, Silvano, si rapporti con il peso ingombrante di un’esperienza esistenziale di confine, dove la memoria personale e collettiva si concretizza in una metaforica geografia di rovine e macerie. «Io invece ho troppi padri: quelli che conosco, quelli che non conosco e quelli che m’invento» si ripete, mentre si reca alla ricerca della tomba del padre, come per giustificare il proprio vissuto di memorie inattendibili: se l’unica vita possibile è quella che si inventa, per mezzo di un processo di incessanti astrazioni che restituiscono significato a un presente inconoscibile, l’intero universo di questa generazione non può che presentarsi come un rifugio astorico, perennemente esposto alle fluttuazioni semantiche dell’immagine e dell’immaginazione.

Queste figure dell’alterità vivono, infatti, nel non-tempo del ricordo, nella sua accezione duale di narrazione remota, per le radici smarrite o contaminate dell’identità personale, e insieme di passato prossimo, per l’incedere jazzistico delle abitudini quotidiane in una Napoli stravolta da cambiamenti. In relazione alla ricorsività di queste metafore mentali dei personaggi, risulta pertinente citare Lèvi-Strauss, che in Tristi tropici (1982) riflette appunto sul senso dell’esperienza del ricordare: «Trascinando i miei ricordi nel suo fluire, il tempo, più che logorarli e seppellirli, ha costruito coi loro frammenti le solide fondamenta che procurano al mio procedere un equilibrio più stabile e contorni più chiari alla mia vista. […] Un antico particolare insignificante emerge come un picco, mentre interi strati del mio recente passato si cancellano senza lasciare traccia, […] in una specie di castello del quale abbia studiato i piani un architetto più sapiente di questa mia storia».

Appare evidente, allora, come lo sguardo etnologico di Vento miri a preservare il rapporto tra memoria e oblio, in una prospettiva postcoloniale che eleva questo prodotto cinematografico a «promessa di rovina» (M. Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, 2004) per lo sguardo incredulo di un pubblico italiano all’epoca non pronto a ridiscutere il proprio concetto di comunità in una prospettiva plurale.

In assenza di miti di fondazione collettivi, l’arte si propone, dunque, come forma di rappresentazione inedita ed evolutiva di una storia sociale, dove lo spazio che intercorre tra la macrostoria e la microstoria non tanto è di ordine culturale, quanto piuttosto di differenti unità di misura, come suggerisce la sequenza del cimitero: «Verso una pietra indecifrabile, è qui dove si parte: noi moriamo con i morenti, essi se ne vanno e noi con loro. L’attimo della rosa e quello della pianta di tasso sono di egual durata. Un popolo senza storia non si redime dal tempo, perché la storia è un disegno intessuto da attimi senza tempo».

Il carattere innovativo di quest’opera dimenticata – il restauro de Il Nero è stato reso disponibile dal Museo Nazionale del Cinema solo nel novembre del 2020 grazie ad una copia positiva conservata dalla figlia del regista – è da ricercarsi, quindi, proprio nella sua caratteristica liminare, sospesa tra fiction e non-fiction, in grado di proporre un’indagine dinamica sulla genitorialità dalla prospettiva dei «figli della Madonna», ragazzi di vent’anni, «giovani due volte», sia in quanto ancora in cerca di un loro posto nel mondo, sia in quanto «neri, perché i neri italiani (e non per esempio americani o africani) nati durante l’occupazione sono i primi neri della nostra storia».

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