THE NIGHT: BREVE ELOGIO ALLO SLOW CINEMA DI TSAI MING-LIANG

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Look at situations… and you will become…: questo si legge su quel che resta di un manifesto pubblicitario strappato, posto sul vetro di un sovrapassaggio pedonale di Hong Kong.

Così ha inizio il breve documentario di Tsai Ming-liang, regista malese naturalizzato taiwanese, da sempre interessato a catturare nei suoi film l’ecosistema urbano nella sua essenzialità, problematizzando le interazioni implicite tra uomo e paesaggio in una prospettiva cinematografica che sospende i rapporti di causa-effetto a vantaggio di un’esperienza visiva fluida ed ipnotica. L’autore invita il suo pubblico ad immergersi nella notte di Causeway Bay, strada generalmente sovraffollata, ma che ora si presenta insolitamente solitaria, percorsa da pochi individui in attesa di un pullman che li riporti a casa, ma che tarda ad arrivare.

 L’impero delle inconfondibili luci al neon di Hong Kong, in cui da sempre si inscrivono le esistenze dei protagonisti dei film di registi come Fruit Chan, Edward Yang e ovviamente Wong Kar-wai, dona magia e dinamicità alle immagini della macchina da presa fissa di Tsai Ming-liang. Il sublime notturno del regista, svincolato dalla intrinseca necessità comunicativa del caos metropolitano, si rivela nel tempo idillico della sospensione onomastica, in cui l’assenza della tensione «vococentrista» (M. Chion, L’audiovisione. Suono e immagine nel cinema, 1990) consente alle forme abiotiche di diventare protagoniste di un movimento narrativo aperto e mutevole. Al centro dello schermo una nuova serenità incantata caratterizza questo regno di potenze mute, che popolano uno spazio sospeso tra il prima e il dopo l’umano.

L’insistenza da parte dell’autore sui contrasti pieno/vuoto e parola/silenzio libera quella carica metaforica di cui parla Deleuze in L’immagine-tempo (1985), riferendosi all’immagine visiva che diventa «archeologica, stratigrafica, tettonica» nel restituire allo spettatore «gli strati deserti del nostro tempo che ricoprono i nostri stessi fantasmi», vale a dire quegli elementi carsici del presente che creano raccordi inattesi tra il piano affettivo-esistenziale e la frammentarietà del paesaggio quotidiano.

  

Questo carattere magnetico della produzione di Tsai Ming-liang è ben analizzato dal regista e sceneggiatore Paul Schrader nella riedizione del volume Transcendental Style in Film del 2018, curata dalla University of California Press, nella cui introduzione la definizione stessa di slow cinema si carica di un significato «trascendentale»: questo stile di rappresentazione, fortemente debitore della ricerca visiva di Andrej Tarkovskij, certifica il dominio del tempo sul racconto ed è finalizzato alla ricerca del grado zero della narrazione possibile solo in quello spazio non apparente, e per questo non convenzionale, che si svincola dagli stereotipi del simbolismo. Indicando un ricco elenco di registi interpreti di questa sensibilità artistica – fra i quali figurano Chantal Akerman, Béla Tarr, Theo Anghelopoulos, Apichatpong Weerasethakul e lo stesso Tsai Ming-liang -, Schrader si sofferma proprio sui tratti distintivi che rendono riconoscibile lo sguardo empatico di questo regista, dall’annullamento quasi totale dell’azione alle inquadrature statiche e lunghe, tracciando un Mandala cinematografico che celebra la settima arte come dimensione dell’interiorità assoluta.

Se il lungometraggio del 2020 Days, presentato al Festival internazionale del Cinema di Berlino, viene introdotto nei titoli di testa dalla scritta «intenzionalmente non sottotitolato», suggerendo in questo modo che la parola è elemento marginale ai fini della narrazione e che l’assenza totale di suoni vuole preservare le storie delle solitudini dei protagonisti, in The Night il rumore cittadino di sottofondo, impreziosito da una ninna nanna acusmatica, consente di penetrare con grazia nell’universo notturno di Hong Kong. L’equilibrio simmetrico di questo pezzo di città, caratterizzato da semafori intermittenti e dal rombo dei motori dei taxi, è sconvolto dall’autore, infatti, mediante l’inserimento di una vecchia canzone popolare cinese che racconta, mentre sopraggiungono le prime luci dell’alba, la separazione forzata di due amanti: «che notte tenera è stata, i nostri cuori si sono uniti ma il momento è terminato troppo presto perché l’alba è tornata; odio vederti andar via, perché la nostra estasi deve finire? perché dobbiamo dividerci quando abbiamo appena iniziato?».

In un movimento narrativo circolare, la macchina da presa ora inquadra nuovamente il vetro del sovrappassaggio pedonale, ma del manifesto non c’è più nessuna traccia.

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