MEMORIA BREVE VOLUME DUE: JASON BATEMAN, BAD WORLDS

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Se in Francia i concorsi di retorica hanno rivelato un certo appeal cinematografico, negli Usa sono le prove di spelling ad averlo. Bad Words era nella black list (l’elenco di sceneggiature apprezzate, ma non prodotte) del 2011, poi Jason Bateman ne ha acquistato i diritti. Bateman è, forse, tra le migliori personalità di Hollywood. Attore paragonabile a Jack Lemmon per la capacità istantanea di passare dalla commedia al dramma, ha, in più, un lato Anthony Perkins che da The Gift in poi ha mostrato sempre più spesso. Produttore intelligente (la serie Kidding ad esempio), da regista si inserisce alla grande nel mood tematico del Frat Pack (in cui entra dalla porta di servizio in Starsky & Hutch): adulti bambini, padri assenti, famiglie disfunzionali: l’ America. Le sue due regie, Bad Words e La famiglia Fang, sono mature (del resto, ha iniziato a dirigere a vent’anni episodi di La famiglia Hogan dove recitava) ed equilibrate. Bad Words ha ricevuto critiche per il turpiloquio e i dialoghi di matrice sessuale in cui sarebbero coinvolti i minori protagonisti. Disvelando il velo di ipocrisia che da sempre accompagna l’immagine che piace dare (e ricevere) dell’infanzia. Che, invece, emula il mondo adulto. Soprattutto nel male. Politicamente scorretto (o pane al pane e vino al vino)? Forse, ma con una bella morale conclusiva.