IO E ANNIE, DI WOODY ALLEN: UN NARCISISTA CHE FA UNA AUTOANALISI

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Opera dichiaratamente autobiografica, “Io e Annie” rappresenta una svolta per i vecchi temi “alleniani” uomo/donna, New York/Los Angeles, arte/vita. Nel monologo iniziale, Woody/Alvy, rivolgendosi direttamente al pubblico come in uno show televisivo vecchia maniera, si rappresenta per la prima volta come Personaggio. È il Comico di professione, che parla di sé (“io..io..io”) con i tratti di una confessione in pubblico. Il titolo originale, “Annie Hall”, è una falsa pista. Se dietro “Madame Bovary” c’è l’io di Flaubert, Annie è lo specchio del narcisismo di Woody Allen. Sembra di (ri)vedere “Il posto delle fragole” di Ingmar Bergman: in “Io e Annie” – opera “seriamente comica” – Alvy riflette sul suo egoismo e sulla vecchiaia di un regista appena quarantenne. 

È l’incipit del film a chiarire gli intenti: Alvy Singer è solo di fronte la macchina da presa. Parla di solitudine, di sofferenza, di vecchiaia e della fine del suo amore con Annie. Fin da bambino è sempre stato preoccupato dall’espandersi dell’universo e precocemente interessato all’altro sesso. Ora comico di successo, ha un amico del cuore, Bob, ma non può dimenticare i suoi due matrimoni falliti. Un giorno, durante una partita a tennis, conosce Annie Hall. Lei, ragazza timida e impacciata, cerca di fare colpo fingendosi interessata al trascendente. I due si innamorano. Alvy incita Annie a farsi una cultura, la incoraggia a seguire corsi universitari, a cercare se stessa nella psicoanalisi e a cantare. Annie si lascia sedurre dalla sua intelligenza e segue i suoi consigli, pur rimanendo insicura. Però, proprio con l’aiuto della psicoanalisi, riesce a interrompere il rapporto immaturo con Alvy. 

In un falso omaggio all’universo femminile, Woody si psicanalizza di fronte allo spettatore con frequenti ammiccamenti. Con “Io e Annie” Allen attraversa lo specchio di un’epoca segnata dal Narcisismo. Se guarda al proprio mondo, come fosse il centro di tutto e l’inizio di tutti i mali, lo fa per giudicare un decennio immaturo. L’emancipazione femminile, il primo affermarsi di una vita da single, la caduta degli ideali romantici degli anni Sessanta, la vacuità di una spasmodica ricerca del successo a prezzo di falsità personali e politiche. È possibile avere una relazione stabile e gratificante al contempo? Questo sembra domandarsi incessantemente il nostro “eroe”. L’arrivo di Annie lo induce a rischiare di nuovo, anche se i problemi sessuali insorgono ugualmente. Alvy reinveste su Annie tutta la sua carica di sostenitore, ma il suo “furore” pedagogico trasforma il rapporto in un continuo esercizio di dominio verbale. Diane Keaton diventa l’alter ego di Woody Allen: ne riprende la stessa gestualità, il modo di parlare tra il balbuziente e l’interrotto, i movimenti incerti del corpo. Annie è un’immatura, è lei la perdente, la maldestra di turno, la timida. E questo la valorizza come personaggio comico. Ma nel finale cresce, intraprende una sua strada abbandonando Alvy alle sue nevrosi. 

“Io e Annie” è senza dubbio il primo film comico/non-comico del regista dalla “doppia anima”, una tragica e malinconica, l’altra ironica e leggera. Woody Allen esprime, in ogni sua pellicola, il bisogno costante di comprendere il senso ultimo delle cose. Si confronta con temi impegnativi, alleggerendo la trattazione con un’intelligente e studiata comicità. Probabilmente, “Io e Annie” è l’opera che rappresenta meglio l’essenza del suo cinema. L’eterna incapacità di comprendersi, le gravi crisi interiori, le battute sarcastiche e pungenti che servono a sdrammatizzare la tensione: c’è Woody Allen in tutto e per tutto. “Io e Annie” è un film “a due”, un doppio percorso; Alvy e Annie rappresentano i due potenziali protagonisti di una qualsiasi storia d’amore che cercano di comprendersi e, soprattutto, di non perdersi. Ne viene fuori un ritratto veritiero, che ha in sé la stessa percentuale di malinconia e felicità. 

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