JULES ET JIM, DI FRANÇOIS TRUFFAUT: COME “REINVENTARE” L’AMORE

Autore:

Condividi su:

La vicenda si svolge tra il 1912 e i primi anni Trenta. A Parigi, due giovani di nazionalità diverse, il francese Jim e il tedesco Jules, stringono una profonda amicizia, per certi versi “spirituale”. Presto diventano inseparabili: insieme leggono poesie, fanno dello sport, vanno in cerca di ragazze. E insieme si innamorano del sorriso di una statua che un amico, Albert, ha mostrato loro in diapositiva. Un giorno, conoscono una giovane donna che ha il sorriso della statua: Catherine. Jules inizia a corteggiarla: durante una gita al mare, alla quale partecipa anche Jim, le chiede di sposarlo. Lei non risponde subito; poi, tornati a Parigi, accetta la proposta di Jules. Insieme partono per la Germania, dove si sposano. Improvvisamente scoppia la guerra, che divide i due amici. Una volta cessate le ostilità, la loro corrispondenza riprende normalmente. Jules e Catherine hanno una bambina, Sabine. Dopo l’imbarazzo iniziale, i due vecchi amici riprendono le confidenze che la guerra aveva interrotto. Jules confessa a Jim il terrore che Catherine lo lasci. Albert, che è stato ferito in guerra e ha fatto la convalescenza in un villaggio vicino, vuole sposare Catherine e prendere anche la bambina. Lei non lo ama, ma nonostante questo, ogni tanto sta con lui.

È la volta di Jim ad innamorarsi di Catherine: lei va e viene tra i due amici, li ama entrambi. Infine decide di vivere con Jim, di avere dei bambini da lui; ma non resta incinta e il loro rapporto si deteriora, fino al disfacimento totale. 

Quella che è stata definita da tanti come una storia “ambigua”, rappresenta un momento di passaggio cruciale per la riflessione sui rapporti di genere, sulla fragilità dell’amicizia e sul modo più giusto di esprimere l’amore. “Jules et Jim” – tratto dall’omonimo romanzo di Henri – Pierre Roché – è un’opera determinante per la comprensione dell’intero universo filmico di Truffaut. “Uno dei più bei romanzi moderni che io conosca è “Jules et Jim”, di Henri – Pierre Roché, che ci mostra, per tutta una vita, due amici e la loro compagna comune amarsi d’amore tenero e quasi senza urti, grazie ad una morale etica e nuova, incessantemente riconsiderata. Ho l’impressione che un “Jules et Jim” cinematografico sia possibile”, ha detto Truffaut. Eppure, una sorta di prudenza lo ha trattenuto per lungo dal mettere in scena il libro di cui avvertiva la complessità. In un certo senso, è come se i primi due film (“I quattrocento colpi” e “Tirate sul pianista”) finiscano per rappresentare le tappe necessarie di un lavoro di preparazione che, attraverso l’affinamento delle tecniche e l’acquisizione di una notevole padronanza di linguaggio cinematografico, culmina nella realizzazione di “Jules et Jim”. Il romanzo di Roché ha affascinato Truffaut per la sua grande innocenza e per la straordinaria semplicità del suo linguaggio che, paradossalmente, concorre a conseguire effetti di grande preziosità e raffinatezza. Disponendosi ad affrontare la trasposizione, il regista si impone innanzitutto di restare fedele allo spirito del testo, restituendone il carattere impressionistico delle annotazioni, la struttura apparentemente dispersiva che mira all’accumulazione dei dettagli, alla costruzione di un “mosaico esistenziale” dal quale è bandita ogni pretesa di interpretazione psicologica, sociologica o storica. Questa sorta di equivalenza che si stabilisce tra lo stile del film e quello del libro, risponde a un’esigenza profonda, dal momento che conservarne lo stile significa in effetti conservarne la morale, che è l’espressione di un determinato modo di vedere il mondo e le persone. Ed è quanto Truffaut aveva in animo di restituire attraverso il film. 

Ciò che si cerca di “imporre” in maniera convincente con “Jules et Jim” è precisamente l’idea di una donna più forte degli uomini che incontra, una donna incapace di appartenere ad un uomo solo, decisa ad inventare la propria esistenza istante per istante, a dispetto delle costrizioni che la vita impone, disposta a fare “tabula rasa” di tutte le leggi – incominciando da quelle naturali – per raggiungere la libertà assoluta, per reinventare l’amore. Catherine rappresenta tutto quanto di magico e di misterioso le donne di Truffaut possiedono. Il film è l’esperienza della libertà alla quale Catherine tende, il luogo privilegiato della sua realizzazione. In realtà, sarebbe più corretto dire: “Jules et Jim” non è un film sull’esperienza della libertà assoluta, ma un film assolutamente libero su di un’esperienza fallita. Catherine per affermare la propria libertà deve arrivare a negare se stessa: la morte, con cui unisce forzatamente il proprio destino a quello di Jim, è il gesto coerente ed estremo, l’espressione definitiva di libertà. L’idea iniziale del film è che in amore la coppia non sia l’ideale, che la struttura monogamica e familiare non corrisponda più alla realtà: la conclusione è che, d’altra parte, non esistano soluzioni diverse, essendo ogni altra possibilità  destinata a fallire. Non è impossibile, però, tentare di costruire qualcosa di meglio, come ha fatto Catherine, rifiutando di adeguarsi alle regole esistenti, rifiutando l’ipocrisia e la rassegnazione. 

Questa dialettica di liberazione e di fallimento, che può apparire sterile solo agli animi rassegnati, è un’autentica dialettica della trasgressione. Il fascino del film è il fascino della trasgressione che mette in scena. Eppure, per definizione la trasgressione è rispetto di ciò che si vuole infrangere e conservazione di ciò che si vuole superare. La libertà non ha “senso” al di fuori di una legge che la limita, l’amore non si realizza se non contro una morale che lo circoscrive e che occorre di continuo eccedere, superare. Dunque, la trasgressione mantiene un rapporto con ciò che viene trasgredito. Ai “pazzi” che non sanno rassegnarsi non resta che la folle audacia di una trasgressione incessante. 

Il vero protagonista di “Jules et Jim” è la macchina da presa. Incredibilmente mobile e irrequieta, crea e determina il ritmo del film, che è il ritmo vitale dei personaggi. I suoi movimenti continui e imprevedibili, gli arresti improvvisi e lente panoramiche, sottolineano, commentano, riflettono, anticipano e, infine, decidono il comportamento dei protagonisti, senza mai astrarlo dall’ambiente che li circonda. In questo modo, è la macchina da presa che crea ed esprime compiutamente il senso della libertà, di ricerca, di rivelazione, di insofferenza, che sta alla base dell’intuizione etico-estetica di cui il film è il risultato. 

Truffaut mette in scena l’ideale di donna trasgressiva, una donna che per protesta si butta nella Senna, dopo alcuni commenti maschilisti di Jules e Jim. Catherine però, cercando la sua libertà, ne rimane vittima. E non sembrano esserci altri modi per sottrarsi a quei vincoli che la società impone se non quello scelto da Catherine nel finale. Un inno alla vita o una dolorosa accettazione di un eterno fallimento? 

“Jules et Jim” è dopotutto – e nonostante tutto – un film sulla passione: un’idea rivoluzionaria di cinema – una delle vette più alte della Nouvelle Vague – che verrà giustamente omaggiata da Bernardo Bertolucci in “The Dreamers”. 

Articoli collegati