Quando il cinema lega così tanto con la psichiatria, la visione di un film diventa decisamente più complessa e invasiva. Il disagio, la paura, il dolore, l’incomunicabilità, sono tutti temi che possono scuotere facilmente lo spettatore, che inevitabilmente si sente coinvolto. L’aspetto rilevante è che pellicole di questo tipo creano una sorta di rapporto di fiducia tra il pubblico e i personaggi, come se immedesimandosi nella storia si potesse anche analizzare se stessi. A chi non è mai capitato di sentirsi inadeguato, incompreso, o semplicemente triste (sebbene in questo caso la tristezza sia ovviamente da contestualizzare)? Il confine tra follia e normalità è estremamente labile, come quello tra amicizia e rivalità, o tra fiducia e diffidenza.
“Avete mai confuso un sogno con la vita? O rubato qualcosa pur avendo i soldi in tasca? Siete mai stati giù di giri? O creduto che il vostro treno si muovesse mentre invece era fermo? Forse ero pazza e basta, forse erano gli anni ’60 o magari ero solo una ragazza interrotta”. Susanna Keysen (nome dell’autrice del romanzo autobiografico da cui è tratto il film, interpretata da Winona Ryder) è una ragazza sensibile e insicura, che ha un pessimo rapporto con i propri genitori, che la definiscono una “disadattata”: non approvano i suoi progetti futuri che non prevedono l’università ma il coltivare la passione per la scrittura, ritenendoli inaccettabili e quindi motivi di preoccupazione. Dopo che lo psichiatra diagnostica a Susanna il disturbo borderline di personalità, non tollerano che si possa associare alla loro famiglia un disturbo mentale e decidono per questo di intervenire istantaneamente. Per questo motivo, viene mandata in un vero e proprio manicomio, il “Claymore Hospital”. Inizialmente spaesata e disorientata, Susanna riesce a stringere amicizia con le ragazze ricoverate, in particolare con Lisa (Angelina Jolie), una ragazza difficile e che tende ad eccedere facilmente. Il legame con queste ragazze affette da vari tipi di disturbi, tra cui l’anoressia, la sociopatia, l’isteria e la paranoia, aiuta Susanna a riscoprire se stessa, ponendola di fronte ai propri limiti, fino a toccare il fondo.
Un elemento essenziale è il contesto storico: siamo intorno alla fine degli anni Sessanta, una stagione “ribelle”. In strada, sui palchi, nelle università: la rivoluzione è ovunque. I motivi per cui gli anni Sessanta continuano ad affascinarci sono tanti, come ad esempio la musica, la moda, l’ideologia, l’amore libero. I giovani sono i protagonisti assoluti che “combattono” senza armi per predicare il cambiamento, con la sola forza delle idee. La ribellione era uno stile di vita. “Ragazze interrotte” è un viaggio in un’America ottusa che non sa osservare e valutare i problemi, che preferisce reagire con violenza e non con comprensione. La forza di volontà, la sicurezza di se stessi, il coraggio di guardarsi allo specchio non sentendosi sbagliati, sono spesso situazioni riscontrate in tanti adolescenti. Riconoscere e affrontare questi fenomeni diventa il vero problema. “Ragazze interrotte” è una piccola finestra sui disturbi psichiatrici visti attraverso gli occhi delle protagoniste: il regista affronta la malattia mentale traducendola nell’idea di uno spazio chiuso, dove la guarigione dello “spirito” rappresenta la scelta di un consapevole ingresso nel mondo.
Per una pellicola del genere sarebbe assurdo pensare che ci possa essere un lieto fine, ma nonostante questo, un finale che lascia una speranza c’è. Susanna esce dalla clinica dopo essere stata dichiarata sana, ritrova la propria serenità, inizia a provare fiducia nel proprio futuro: “Dichiarata sana e rispedita nel mondo. Diagnosi finale: borderline recuperata. Che cosa voglia dire ancora non l’ho capito. Sono mai stata matta? Forse sì. O forse è matta la vita”. Tutto questo grazie alle sue amiche e alla sua infermiera che cercava di creare sempre un rapporto alla pari e mai una relazione di dominio tra medico e paziente. Per approcciare a queste malattie è necessaria una grande forza d’animo, che consente di aiutare l’altro senza mai perdere la lucidità. L’intento è quello di non far mai sentire una persona sbagliata, inadatta, non additando la parola “pazza” in maniera inadeguata.
L’atteggiamento squalificante o invalidante di uno o di entrambi i genitori è una delle cause che si ritrovano nelle storie di vita dei pazienti borderline: il disturbo si manifesta attraverso umore e relazioni instabili, cambiamenti emozionali improvvisi, impulsività, pensieri confusi, incapacità di concentrarsi, di rimanere presenti all’interno di una conversazione, di mantenere il controllo di sé, sintomi che frazionano l’anima e possono portare a tentativi di suicidio o di autolesionismo. Nel tentativo di ridurre l’esperienza intensa e caotica delle emozioni, il ricorso alle droghe, all’alcool o alle abbuffate di cibo, diviene la soluzione, che in realtà non porta vero sollievo, quanto ulteriori sensazioni di vuoto e di annichilimento. La difficoltà nel mantenere un equilibrio interiore non permette di vivere in maniera sana le relazioni sociali. Cosa succede, allora, quando improvvisamente il mondo rifiuta sentimenti e comportamenti, tacciando di “follia” una presunta deviazione da una “norma” che non pare nemmeno avere riscontro concreto nella realtà quotidiana?
L’abilità del regista sta nel non dare una risposta precisa, ma nel riconoscere la medesima percentuale di follia nelle pazienti come nel mondo che le ammala: la loro “interruzione” nel loro naturale processo di crescita verso l’autoconsapevolezza le porta a insinuare un dubbio sempre più concreto di una reale pazzia. Si sentono sospese – come in un limbo – in una condizione che non sembra lasciare spazio a progressi ma solo a regressi. Qualsiasi cosa che sfugge alla normalità è patologico: diventa necessario, allora, etichettare, dando definizioni spesso incomprensibili. “Ragazze interrotte” mostra come l’essere sani possa essere – in certe circostanze – una questione di coraggio e di presa di coscienza di quel percorso di maturazione interrotto e bloccato. Non sempre i comportamenti sono così lineari come la società richiederebbe.